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Cenni biografici


Vincenzo Galloppi nacque a Napoli il 30 Novembre 1849 (foto a lato databile intorno al 1910).
Fu battezzato  in S. Maria degli Angeli alle Croci, ( foto in fondo alla pagina)
quando i suoi genitori abitavano a S. Efremo Vecchio, 33.

Primogenito di Antonio Galloppi, ornamentista, e di Teresa Aveta, donna di casa, Vincenzo ebbe due fratelli, Alfonso e Francesco, coi quali visse una serena fanciullezza. Da un prete imparò a leggere e a scrivere. Quindi, avendo manifestato precoce versatilità per il disegno, l'avo paterno, Andrea,  pittore dello scorcio del Settecento, volle iniziarlo alle regole dell'arte.

I suoi progressi furono rapidi. Passato allo studio del vero, disegnò e dipinse tipi e paesaggi del luogo natio, come dire gli aspetti di quella parte di Napoli amena e pittoresca, là dove le verdi propaggini del bosco di Capodimonte, digradando, s'insinuano fra antichi conventi e case d'epoca borbonica.

L'osservazione del vero e la conoscenza dei capolavori del passato rinvigoriscono le naturali tendenze del giovane artista. Ora se il luminismo caravaggesco e la potenza veristica dello Spagnoletto lo attraggono, gli affreschi del nostro Solimena, fastosi e ricchi di sfondi scenografici, lo stimolano allo studio della prospettiva e dell'architettura che inizierà con Ignazio Perricci ( 1834 - 1907).
Lo studio del Perricci  si trovava a Piazzetta S. Giuseppe de' Nudi, terraneo col n. 76.

L'entusiasmo per l'arte, i risultati raggiunti e anche un po' d'agiatezza familiare sono fatti positivi per il suo avvenire. Ma presto subentrarono tristi eventi che interruppero la tranquillità della sua famiglia e con essa quella degli studi.
Entro il 1867 i suoi nonni materni morirono. A breve distanza di tempo seguì la malattia del padre, il cui trapasso avvenne il 24 Luglio 1868. L'Atto di morte di Antonio Galloppi nel Municipio della Vicaria termina con queste parole: "Ha rimasto tre figli minori"
Così, le modeste sostanze familiari assorbite in gran parte dalle sventure, chiusa anche una botteguccia di colori e carte da parati che il defunto ornamentista aveva in un fondaco del Borgo S. Antonio Abate, Vincenzo si trovò a dover sostentare la famiglia solo col suo lavoro. Ma non gli fu difficile procurarselo.

Salvatore Cepparulo lo chiamò a dipingere dei putti nel Battistero di S. Giovanni de' Fiorentini (chiesa distrutta dalla guerra)  e a collaborare per decorazioni nella Biblioteca del R. Conservatorio di Musica  S. Pietro a Maiella che all'epoca aveva come direttore Franceso Saverio Mercadante. Luigi Paliotti, decoratore d'alcune Sale del Palazzo Reale di Napoli e l'anconitano Antonio Masi, famoso scenografo del S. Carlo, lo richiesero per diversi lavori. Il suo stesso maestro Perrici lo volle con sé per restauri nel Duomo di Napoli disposti dal Cardinale Sisto Riario Sforza nel 1871.

Galloppi non si limitò a tali compiti. Dipinse in questo periodo formativo soggetti sacri e profani; però il suo estro pittorico gli aveva già fatto comporre, diciottenne, una Sacra Famiglia, una Natività, un Concerto di Angeli e altro. Frequentò intanto, assiduamente, e con tenace volontà di progredire l'Istituto di Belle Arti.

Dopo il Perricci ebbe consigli dà Gioacchino Toma e da Gabriele Smargiassi. Di tali Maestri fu discepolo e amico.
Ancor giovane il Galloppi conseguì padronanza nella tecnica dell'affresco, per quel modo di  dipingere in muro" inteso del Vasari" più maestrevole e bello, più virile, più sicuro e durabile di tutti gli altri modi.
E ne diede prova. Il Barnabita P. D. Anacleto Mataloni scriverà di lui, ricordandolo "prescelto" per i lavori di restauro della monumentale Chiesa di S. Severino e in altre Chiese della nostra Città e Provincia. Ne derivò presto l'inizio d'una sua attività indipendente, anche come progettista e direttore della decorazione.

Nello scorcio dell'800 Galloppi dipinse soggetti storici e plafonds nella casa dello statista Francesco Crispi; ideò scene per il teatro di Eduardo Scarpetta; compose quadri per la villa di Visocchi, proprietario di cartiere.
Dalla suddetta epoca fino al primo Novecento, oltre che in molte Chiese di Napoli, eseguì composizioni nella Chiesa e Convento dei Padri Paolotti in Taranto, lavorò per Chiese di Scafati, Pietramelara, Solofra, S. Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, Secondigliano, S. Pietro a Patierno, Saviano, Roccaromana e d'altri luoghi, rappresentando per la maggior parte fatti dei santi protettori locali e della vita di Gesù.

Attività piena e continua in un'epoca che vantava non pochi pittori insigni, con i quali i confronti erano frequenti, ma la sua solida esperienza artistica resse dovunque. Ciò avveniva nonostante la sua estraneità al dominio di autorevoli artisti.
Egli volle affrontare da solo la difficile strada dell'arte, cui va aggiunto che fin dagli esordi, Bernardo Celentano aveva apprezzato in lui quel suo modo indipendente di vivere e d'esprimersi. Più tardi anche Gabriele Smargiassi, Giuseppe Sciuti, Salvatore Postiglione gli manifestarono stima e amicizia, e non solo perchè aveva lavorato sugli anditi prima di lui calcati da Saverio Altamura in S. Nicola da Tolentino, e da Luigi Fabron in S. Domenico Soriano. Così, Irolli, a cui piacque quanto c'è del Galloppi in S. Maria del Soccorso a Capodimonte, chiese al Parroco d'allora, Mons. Noviello, di voler conoscere di persona l'autore di quei lavori; come avvenne con reciproco compiacimento.

Nel 1882, a 32 anni, Vincenzo Galloppi sposò Maria Seccia, suo primogenito Giuseppe, nato il 1883, si estinse all'età di quattro anni. Di lui dipinse una impressione nella camera ardente. Due anni dopo, nel 1889, ebbe una figlia chiamata Maria, come la madre.
Nel 1893 è in Grecia assieme a Salvatore Postiglione per opere nell'Achilleion, Villa dell'Imperatrice d'Austria a Corfù, precisamente a Gastouri, non molto distante dal maggior centro dell'isola. Qui Elisabetta d'Austria si fece costruire la sua Villa detta l'Achilleion, arricchendola di opere d'arte. Vi è annesso un piccolo museo commemorativo dedicato a lei e all' imperatore Guglielmo II di Germania.  
Eseguì dipinti e fece progetti di decorazioni riguardanti sia l'interno che i giardini della residenza imperiale. Per marmi, stucchi e ornati in genere diresse bravi artigiani napoletani. Fra gli esecutori dei suoi disegni  Antonio Monarca e Angelo Cimmino.
Terminati gli impegni assunti, dopo qualche tempo, l'ingegnere Cardito, sovraintendente ai lavori dell'Achilleion, è incaricato di richiedere il ritorno del Galloppi in Grecia, per nuove decorazioni in detta residenza, e altro. In tale occasione l'Imperatrice Elisabetta dona a Galloppi, una spilla da cravatta in oro con magnifica perla.
L'attività dell'artista anche nell'età matura fu intensa. Fra un lavoro e l'altro per le Chiese, dipinse tele dai soggetti svariatissimi e sipari per alcuni teatri. Intanto ricordo "Il Cantastorie della Lanterna del Molo" per il Teatro Nuovo.  E per il Teatro di Marcianise, intitolato al direttore d'orchestra Leopoldo Mugnone,  "Il Parnaso": un'allegoria ricca di figure in ambiente di classica architettura.
Quanto ai famosi Festivals Napoletani vi partecipò con realizzazioni di carattere architettonico e folcloristico, in fine Ottocento e nel 1904. (foto a lato la madre Teresa Aveta ritratta dallo stesso Galloppi in un acquerello del 1870).

Consumata conoscenza del mestiere gli procurò richieste di quadri da più parti. Anche l'amico Giambattista De Curtis (l'autore di Torna a Surriento) nel 1916 e anni seguenti, per commissione d'un mercante d'arte chiamò il Galloppi a dipingere nel suo studio soggetti napoleonici, del Risorgimento e fatti storici napoletani, cose che l'artista, ricco di fantasia, rappresentò con mano felice su piccole tavolette che andarono a ruba. Da appunti autografi i soggetti eseguiti,  in maggior parte battaglie, sono così sintetizzati: Waterloo, Jena, Austerlitz, Varese, S. Martino, Palestro, Marsala, Presa di Capua, Ponti della Valle, Caiazzo, Volturno, Villafranca, Aspromonte,  Breccia di Porta Pia, e tra i soggetti napoletani: la Rivoluzione di Masaniello, la Repubblica Partenopea e altro.
Stimato da molti, adulato da alcuni per ottenere gratis il suo lavoro, donatore di disegni quando qualche amico a corto di idee gliene chiedeva, per la sua buona fede giunse al punto da farsi frodare un importante progetto. Ma dimenticava tutto e presto, finanche la tutela dei propri diritti.
La sua umiltà poi gli nocque. Per un periodo di tempo non breve, fu tediato da uno strano frate laico. Costui esponendogli in maniera confusa le sue letture teologiche gliene chiedeva la rappresentazione con disegni ingarbugliati di simboli e quasi sempre su plastici di grandi dimensioni.

Fino a quasi ottant'anni salì sull'andito. "Pittore dalla gagliarda e arguta vecchiezza operosa" di lui scrisse Mario Stefanile. Lavoratore instancabile, dipingeva con spontaneità e immediatezza, scevro da cerebrali preziosismi, superando per doti naturali e padronanza di mestiere, tormenti e problemi cui ogni artista è soggetto.

A ottantaquattro anni, dopo la morte della moglie avvenuta il 7 Luglio 1933, Galloppi si ritirò presso la figlia Maria, col genero e i nipoti, distaccandosi dalle cose del mondo e contornato dalle affettuose premure dei familiari.

Visse i suoi ultimi anni in una casa di Via Ecce Homo, 31 al tempo del secondo conflitto mondiale. I disagi della guerra influirono in modo decisivo sulla sua salute. Dopo veglie in umidi e malfermi ricoveri sotto bombardamenti aerei, per lui gran conforto era la Messa mattutina ascoltata da un coretto che dalla sua camera dava sul Presbiterio della Parrocchia dello Ecce Homo; l'esistenza di questo coretto era dovuta al fatto che la casa abitata dal Galloppi era stata quella del Parroco di detta Chiesa. Nonostante tutto egli non si staccò mai dal lavoro, la decadenza fisica non gli proibì di disegnare o dipingere un po' quasi ogni giorno, poiché, fino alla estrema vecchiezza, si può dire fino alle sue ultime ore di vita, fu lucido e coerente. Così, a novantadue anni compiuti, la sera del 12 Gennaio 1942, alle ore 21 lasciò questo mondo, sorretto da fede incrollabile: la certezza della vita futura in cui sempre credette e sperò per la sua anima.
Le sue spoglie riposano a Poggioreale, nella Cappella dell'Arciconfraternita "La Natività de' Servi di Maria".




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